Me lo ricordo come se fosse ieri, invece è passato oltre un quarto di secolo dal quel maledetto Gp di San Marino del 1994: era una domenica calda, e la “compagnia” mi aspettava al mare per la rituale festa del primo maggio. Invece che sui prati si era deciso di andare in spiaggia.

Arrivo per le tre, guardo la partenza del Gran Premio e sono ai Tre Ponti” avevo detto il giorno prima agli “amici del Tennis“; come sempre avevano sgranato gli occhi, non c’erano molti appassionati di Motorsport o meglio ad alcuni piacevano le macchine, anzi forse più le moto, ma non seguivano come me le gare in televisione.

In casa, quella domenica, ero da solo: i miei genitori erano andati via dalla mattina con mia sorella per una scampagnata in montagna; io non andavo più con loro, ormai ero “grande“. Grande a 16 anni; ripensandoci ora altro che grande, ero un adolescente bastian contrario innamorato delle quattro ruote, passione consegnatami da papà.

Sinceramente non era un gran bel weekend sportivamente parlando, iniziato con l’indicente di Barrichello nelle prove del venerdì, salvo per miracolo, proseguito con la tragedia del sabato di qualifica, quando perse la vita Roland Ratzenberger a causa del cedimento dell’ala anteriore della Simtek e del successivo schianto al curva Villeneuve ad oltre 300 km/h.

Roland aveva l’età di Ayrton Senna, ma era appena arrivato in F1: era la sua terza gara.

Le immagini crude del grave incidente del pilota austriaco mi avevano frastornato: tuttavia mi ero dato una sorta di giustificazione attribuendo la “colpa” all’inconveniente tecnico. Pensavo che sarebbe potuto capitare anche fuori della pista…. ingenuità del “grande sedicenne“.

Avevo acceso la televisione in cucina, quello più piccola, che però era più facile da guardare in piedi: si, in piedi perchè ero già pronto e cambiato per il mare, avrei gustato una ventina di giri tanto la superiorità delle Williams  era abbastanza scontata, anche se priva delle famose sospensioni attive dell’anno passato, confermata dalla Pole del pilota Brasiliano nel sabato nero di Imola, e mi sarei catapultato a rotta di collo in scooter al mare.

Tra un panino e una coca-cola, tra le immagini ripetute degli incidenti precedenti e le interviste di rito, le vetture si schierano sulla griglia: mi ricordo poco degli attimi prima del via, ma il clima non era gioioso. Ho impressa, però, l’immagine di Senna che appoggia il casco sulla parte anteriore della Williams e lo lascia lì mentre sale in auto e lì rimane concentrato con la testa china all’indietro. Conoscendolo stava sicuramente pensando agli eventi occorsi ai suoi colleghi piloti. Oppure no, da Campione si stava forse concentrando per centrare la prima vittoria con la vettura britannica.

Semaforo verde, le vetture sfrecciano, Senna mantiene la testa, ma il dramma si consuma dietro: non si capisce molto dalla TV, ma vedo una ruota che passa le reti e finisce tra le tribune e poi una monoposto accartocciata sul lato destro e una ferma sulla partenza. Sono le vetture di J.J. Letho e Pedro Lamy con quest’ultimo che colpisce la Renault rimasta ferma sulla griglia. Per fortuna vedo i piloti scendere dai rottami che rimangono delle F1 e nulla si sa della ruota finita tra il pubblico.

Si parla di feriti, ma non si riesce a capire molto di più; tra me e me, ho pensato di spegnere tutto e andarmene al mare tanto c’era la Safety Car: chissà quando sarebbe ricominciata la gara. Invece ho aspettato, non so il perchè, ma poggiai lo zainetto del mare per terra e, stufo di stare in piedi davanti alla televisione, ho preso una sedia e mi son seduto. Avevo già chiuso le finestre ed era buio dentro casa, nonostante fuori ci fosse un sole da estate inoltrata.

Dopo circa un quarto d’ora la gara riprende, il via lanciato stavolta non crea nessun problema e dopo il primo giro Ayrton tiene testa a Schumacher; l’inquadratura passa nel camera car del nascente talento tedesco e pochi secondi dopo si vede scartare verso destra la Williams numero 2.

Che gran premio del ca…o” ho urlato, pensando in un cedimento meccanico, ma l’istante dopo ho notato che l’impatto era stato tremendo e Senna proseguì per tanti, tantissimi, troppi metri dopo l’urto al Tamburello.

L’elicottero inquadra, impietosamente, la FW16 totalmente priva della parte destra e il campione brasiliano con la testa chinata sullo stesso lato: non si muove, è fermo. “Ma quanto ci mettono i soccorsi, porca miseria, muovetevi“. Ma con chi parlo? sono da solo, in casa, al buio mentre i miei genitori sono in montagna e i miei amici al mare.

Quegli attimi prima dell’arrivo dei medici mi sono parsi secoli, sono rimasto pietrificato con le lacrime agli occhi davanti a quella maledetta scatola nera che aveva sputato solo del male dal venerdì in avanti.

Nessuno aveva il coraggio di dire ciò che era chiaro: Senna non ce l’avrebbe fatta. Come Roland il giorno prima.

Mi ricordo che non andai più al mare, rimasi incollato davanti alla Tv sperando nel miracolo. Chiamò papà sul telefono di casa e gli raccontai con il magone quello che avevo visto. Ero triste, molto triste.

Incredibilmente la gara ripartì, ma io spensi il televisore. Non aveva più senso guardare, ora, che il Campione Brasiliano non c’era più.

Riposa in pace Ayrton.

 

Immagine copertina di Jmex60 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2855710